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Il Kokkyu nelle arti marziali
 
 
A un Maestro è stato chiesto che cosa è la Via, il Do?
Per tutta risposta il maestro additandola rispose:
Che bella montagna!
Ma io vorrei conoscere la Via, non la montagna.
Se non puoi raggiungere la montagna, non potrai mai raggiungere la Via.
La Via sta davanti ai tuoi occhi.
E tu la vedi? Chiese stupito l’Allievo.
Finché dirai TU e finché dirai IO il tuo sguardo sarà offuscato dal dualismo dagli opposti che sono in te.
Ma allora quando non avrò né TU ne IO ,riuscirò a vedere finalmente la Via?
Quando non ci sarà più né TU né IO, che bisogno c’è di vedere?
 
         Makoto di Giovanni Filippini
 
Domenica 16 ottobre presso la palestra Santini di Cormano, ho assistito ad uno stage aperto a tutti i praticanti di arti marziali, diretto dal Maestro Giovanni Filippini.
 
Non è la prima volta che ho il piacere di incontrare questo singolare personaggio e come sempre ne sono rimasto colpito, ma credo di essere stato in ottima e non scarna compagnia.
Avvolti nelle nostre corazze irreali generate per sopravvivere in una società, non più da tempo a misura d’uomo, rischiamo di assomigliare sempre più ad elefanti che camminano sulle uova, incapaci di relazionarci con gli altri, incapaci di “sentirli” (come del resto non siamo capaci di ascoltare noi stessi), siamo bloccati dal “ Primo nemico”, come l’ha chiamato il maestro, la Paura.
A meno che non succeda qualcosa in grado di giungere rapidamente a una strana parte di noi, che non riesco ancora per mia inesperienza a definire, ne tanto meno a capire; un evento, uno stimolo o forse il sentire una strana melodia irresistibile, come la musica del suonatore di flauto in quella celebre favola.
Il Maestro Filippini suona divinamente ed è difficile non rimanerne affascinati ed attenti ascoltatori, difficile non entrare in armonia o almeno non provarci.
Quanto poco conosciamo di noi stessi. Quanto poco conosciamo degli altri.
Il tema centrale dello stage era la “Respirazione”.
Ma io penso che il messaggio lanciato era rivolto all’essere uomo, nella sua complessa natura.
Non si può parlare di una sola cosa, a compartimenti stagni, non siamo macchine.
Se si rompe il cambio nella mia vettura, si interviene sul cambio, se un uomo ha una patologia “fisica” perché quindi respirare?.
Perché per tonificare il nostro sistema immunitario dobbiamo respirare?
Perchè ci ammaliamo più facilmente se siamo depressi?
Durante un esercizio con un partecipante il Maestro ha accennato allo stato emotivo, una lite famigliare ad esempio, può creare uno squilibrio fisiologico, una chiusura, una contrattura nel nostro essere.
Non vi è mai capitato di affrontare una lezione ed esserne in fine insoddisfatti.
Tesi durante l’allenamento, incapaci di muovervi con la dovuta scioltezza, poco ricettivi e distratti.
Eppure l’impegno era lo stesso, la stessa la palestra, lo stesso il maestro ed i compagni.
A volte l’agente di disturbo e chiaro, ma a volte e metabolizzato,  racchiuso in noi, perchè spesso non possiamo affrontarlo come vorremmo.
Un squilibrio emotivo si ripercuote inevitabilmente sul fisico.
Quindi respirare ma respirare con consapevolezza, cercare di ascoltare noi stessi; di non dividere i nostri pensieri e le nostre emozioni dal nostro fisico, aprire la mente a pensieri nuovi e non dimenticare il nostro spirito.
Non sta a me raccontarvi dei cicli di respirazione che abbiamo provato o tentare di spiegarvi come sollecitare un muscolo per ottenere un miglior risultato agonistico, ne come testare il nostro squilibrio tra i due emisferi celebrali, sarebbe assurdo, spero solo di ricordarmi quello che ho visto, quello che ho provato e sperare di avere la forza di conservarlo e forse di approfondirlo ed è questo il consiglio che lancio a chiunque legga queste mie riflessioni.
Chi pratica arti marziali dovrebbe avere come obbiettivo una ricerca.
Non siamo certo quello che ci raccontano.
La tecnica è solo un metodo. Non esistono coppe, non ci sono trofei.
Dobbiamo cercare di arrivare al “secondo nemico l’Illuminazione” ed affrontare “il terzo la Prepotenza” sperando di arrivare al “quarto la Vecchiaia”.
Adoro l’ideogramma del DO, l’omino che cammina con un enorme cesto sulle spalle.
Il cesto diventa sempre più pesante ad ogni passo, perchè si riempie con la vita ma più leggero , perchè passo dopo passo, il nostro ” io” si abitua a sorreggerne il peso.
Forse un giorno il cesto scomparirà.
Respiriamo cercando di sentire questa energia trasportata dal sangue che tramite esso raggiunge ogni angolo di noi stessi, cerchiamo di sentirci.
Non scordiamo la nostra sfera emotiva le nostre sensazioni.
Cerchiamo di coltivare la pace.
Non si può cercare di lavare una bottiglia senza prima togliere il tappo ne tanto meno senza prima svuotarla dal contenuto.
Non dimentichiamo cha non siamo soli.
Cerchiamo di coltivare l’amore.
“I miei allievi mi volevano bene” e non stento a crederlo ne ho le prove, conosco un vecchio allievo del Maestro a cui voglio molto bene a mia volta.
 
Affrontiamo il primo nemico e il più temibile, cerchiamo di praticare sempre, a volte è quasi impossibile, ma proviamoci.
 
 
“Competere nelle tecniche, la vittoria e la sconfitta, non sono il vero Budo. Il vero budo non conosce sconfitta; non essere sconfitti significa non combattere mai. Vincere significa vincere la volontà di discordia in noi stessi.
Significa compiere la propria missione di dono”
           Moriei Ueishiba.

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